venerdì 17 luglio 2015

Si è dimesso Angelo Colombo, l'assessore contestato per la sua opinione sulle donne che "provocano" lo stupro

Non sono di Sel né razzista, ma certe donne provocano e rischiano da come si vestono: si è dimesso Angelo Colombo, assessore allo sport del Comune di Cassano D'Adda, che aveva così commentato, sulla sua pagina FB, la denuncia di stupro di una ragazzina di quindici anni.


Le proteste erano montate sul web e anche D.i.Re e Arcilesbica avevano chiesto che l'assessore lasciasse subito l'incarico mentre l'Italia dei Valori aveva chiarito che l'assessore non era più un suo rappresentante  (dal novembre 2014) e condannato come inaccettabili le parole pubblicate sul social network.  
Colombo dopo le proteste aveva chiesto scusa ed aveva cancellato il commento, poi la decisione di dimettersi prima del voto sulla richiesta di rimozione immediata e di ritiro delle deleghe, che era previsto per il Consiglio Comunale del 21 luglio prossimo. 

L'assessore  si è giustamente dimesso dal suo incarico ma sul web, ogni giorno, vengono pubblicate opinioni sulla violenza contro le donne che ci fanno toccare con mano come il ventre di una parte della società metta al centro  sempre le vittime, chiamate a limitare la propria libertà perché "lo stupro esiste come possibilità e sta a loro evitarlo"
E accade ancora che le donne stuprate, quando denunciano, oltre al trauma e al doloroso iter processualecome non fosse abbastanza debbano affrontare   anche processi collettivi di ri-vittimizzazione che fanno uscire di scena l'autore dello stupro mettendo sul banco degli imputati proprio loro, giudicate per i loro comportamenti.  
A rendere tenace la colpevolizzazione sono anche l'immaginario sullo stupro e la percezione dello spazio pubblico come spazio maschile inibito alle donne. Così si pensa che quelle che vi si avventurano trasgrediscano alla legge non scritta che vuole che il loro spazio sia solo fra le mura sicure della casa (là dove, peraltro, avviene in realtà il maggior numero di violenze compresi gli stupri). Abbiamo scritto fiumi di inchiostro su questi temi ma evidentemente non è ancora sufficiente a spazzar via la tolleranza, l'accettazione o la giustificazione per un reato odioso che è tra le più gravi violazioni dei diritti umani delle donne. La mentalità che emerge squallida nell'epico processo per stupro del 1979, sostenuto dalla grande Tina Lagostena Bassi, è ancora lì, e in troppi non hanno ancora imparato niente. 

domenica 12 luglio 2015

I nostri vecchi nelle RSA: è un problema di cultura e politico. Come sempre

E' di ieri la notizia di anziani svillaneggiati e picchiati in una Rsa a Prato.
Rsa… Rsa… che significa? ah si, ecco, Rsa vuol dire: Residenza Sanitaria Assistenziale
Per fare un esempio, residenze come questa. Il pensiero torna a questa lettera pubblicata un mese fa da Isabella Bossi Fedrigottimia madre aveva 91 anni ed è morta come mai avrebbe voluto, in una casa di riposo tra le peggiori, dopo soli 4 mesi di ricovero (…) presso una Rsa. Un luogo splendido all’apparenza, con un ingresso, reception e bar da hotel, ma ai piani un’assistenza e un contesto pessimi. La sedano, troppo, la troviamo in stato quasi comatoso di giorno, ogni giorno. Quando non dorme, la troviamo col capo riverso su una sedia a rotelle nella sala comune, dove assistenti del tutto indifferenti anche alle più banali richieste (bere, un cuscino dietro al capo, gli occhiali da vista a terra) stanno sedute a gruppetti dentro una specie di guardiola. Non è consentito a noi figlie sostare al momento dei pasti ma quando in più occasioni lo facciamo senza farci vedere, ci accorgiamo che il suo pasto non viene quasi consumato, oppure lei stessa maldestramente lo rovescia. L’igiene lascia a desiderare: gli anziani vengono cambiati solo a orari fissi e ovviamente aleggia per il corridoio un odore sgradevole. Facciamo presente al responsabile medico del reparto le condizioni di nostra madre e l’evidente e continuo peggioramento a cui assistiamo, ma la dottoressa ci fa notare che nostra madre è molto «richiestiva» e sedarla è d’obbligo. Quando più volte chiediamo alla caposala che cosa la sera prima le è stato somministrato, ci risponde «nulla, sta solo smaltendo l’eccesso». Mia madre muore il giorno stesso in cui eravamo riuscite a trovarle posto in un’altra struttura. Al di là dell’esperienza personale e della denuncia doverosa di questo luogo indegno affinché si possa sapere ed altri possano non incorrervi, io mi chiedo: ma lo Stato vuole rendersi conto che l’assistenza agli anziani è ormai diventata un’emergenza? Per garantire ai nostri anziani (ma tra poco anche a noi) un fine vita dignitoso spetterà solo a noi figli ospitarli privandoci di quella libertà magari già ridotta dall’essere ormai nonni? (Ornella Benfanti). 
La prima cosa che ci viene da osservare è che la frase spetterà solo a noi figli ospitarli andrebbe sostituita con spetta solo a noi figlie (o nuore) occuparceneperché (fatto peraltro accettato da tutti per tacita legge) il welfare in questo paese è  scaricato sulle spalle delle donne, le quali non hanno tregua. Ormai nonne, sono schiacciate su due lati: devono occuparsi da un lato dei nipotini, dall'altro dei vecchi genitori. La giornalista commenta così: "Certo che dovrebbe rendersene conto lo Stato, cioè tutti noi (??), perché ci riguarda uno per uno, con l’aggravante che abbiamo meno figli delle generazioni che ci hanno preceduto e saremo perciò ancora più soli. Invece viviamo per lo più da smemorati, che, pur avendo visto le sofferenze patite dai nostri vecchi, preferiamo non pensare che le stesse potrebbero toccare a noi. E da chi, invece, ci pensa, non raramente sentiamo ripetere: andrò in Svizzera, andrò in Olanda... È davvero questo che vogliamo?" (noi??). Bè, non è un po' pochino? Forse andrebbe aggiunto qualcosa. Primo, quanto già detto sopra. Secondo, che la risposta andrò in Svizzera, andrò in Olanda… se la può sentire dare solo una signora altolocata, che evidentemente ha amici alquanto ricchi - dunque, nemmeno fa testo.  Terzo, che è inammissibile che in strutture pubbliche, pagate con le nostre tasse, e che eppure hanno un alto costo per chi ne usufruisce, manchi la formazione ba-si-la-re per cui ai degenti sono rigorosamente dovuti cura e rispetto. Dovuti, non optional. Quarto, che gli episodi di gravi maltrattamenti di vecchi (ma anche di bambini, o di disabili, cioè di persone inermi che non hanno modo di denunciare e di difendersi), si ripetono in modo preoccupante, tanto da pensare che, alla fine, le strutture in cui i nostri vecchi sono trattati bene siano solo felici eccezioni; così come gli sforzi di sensibilizzazione e formazione (vedi qui un esempio). 
Sul piano culturale, tutto ciò poggia sul deserto di una cultura delle relazioni, e sull'intreccio di questo vuoto con il sessismo (quello che ritiene naturale che, nella famiglia, della cura si debbano occupare praticamente solo le donne). Nella percezione comune - e in primis, della politica! manca questo:

Lo stesso mix che produce, nelle relazioni fra i sessi, il femminicidio. Strutture e cultura sono entrambe carenti, e questo si origina dalla totale inadeguatezza dell'intervento politico. C'è poco da fare: sempre lì si ritorna.
E il bello, è che c'è chi in politica si sforza; buone leggi SI FANNO - anche in questi ambiti. E poi si stroncano.