venerdì 12 dicembre 2014

Expo: l'esposizione universale 2015. Per sapere come è nata e guardare dove va

ARCHIVIO/DOCUMENTI Mentre l'Expo si avvicina, crediamo utile pubblicare qualcosa che consenta di farsi un'idea a chi vorrebbe vederci più chiaro. Se vogliamo trarre qualcosa di utile da un processo dai grandi impatti come questo, è importante poterne avere coscienza anche in termini propositivi ma anche capaci di essere critici. Su questo fronte, ad oggi, il "comitato femminile" battezzato Women for Expo non ha dato contributi. In proposito segnaliamo invece, fra le tante, le utili informazioni e le osservazioni di Emilio Molinari che trovate qui.
Ma, riguardo all'intera storia, riportiamo di seguito anche il resoconto approfondito e interessante che ne dà Piero Basso:
Ho sentito parlare per la prima volta di Expo 2015 da un'intervistatrice che mi chiese, come a migliaia di altri cittadini milanesi, cosa so delle esposizioni universali e cosa penso della possibilità di realizzarne una proprio a Milano. Colto di sorpresa, non esprimo opinioni, e quanto a conoscenza riesco a ricordarne solo due: quella di Parigi del 1889, centenario della Rivoluzione francese, immortalata dalla torre Eiffel, e quella di Bruxelles del 1958, legata alla costruzione dell'"Atomium".
Neolaureato in fisica, la realizzazione di un edificio che riproduceva la struttura di un cristallo mi aveva ovviamente colpito. Solo più tardi ho scoperto che anche Milano aveva avuto, nel 1906, la sua esposizione internazionale (un gradino più giù di un'esposizione universale), dedicata ai trasporti (si celebrava l'apertura della galleria del Sempione, allora, con i suoi 20 chilometri, la più lunga del mondo), e che questa aveva lasciato in eredità alla città il parco intitolato appunto al grande traforo alpino, e l'acquario civico di via Gadio.  Roma invece aveva avuto l'eredità di un intero quartiere, quello appunto dell'EUR (Esposizione Universale Roma), ma non l'esposizione, che nel 1942 non fu effettuata a causa della guerra. Non conosco l'esito di quel sondaggio, probabilmente volto più a preparare il terreno che a conoscere realmente l'opinione dei cittadini, ma si comincia allora a parlarne e naturalmente nasce la curiosità di saperne di più, al di là della retorica ufficiale. E' ancora fresco il ricordo dei mondiali di calcio 1990, l'enorme spreco di denaro pubblico, il lievitare dei costi (quasi raddoppiati rispetto ai preventivi), le opere mai finite o inservibili, le commissioni d'inchiesta non approdate a nulla. Ma questa volta, si spera, sarà diverso.

Milano vince la gara
Nell'ottobre 2006 i consiglieri comunali di sinistra si astengono nel voto che stabilisce la costituzione del comitato di candidatura per l'assegnazione dell'Expo a Milano, formato da Comune, Regione, Provincia, Camera di Commercio e Fondazione Fiera.
Inizia il lavoro per ottenere l'assegnazione di Expo a Milano, in opposizione a Smirne, la città turca che per prima aveva presentato la sua candidatura. Parte una grande "campagna acquisti", giocata con tutti i mezzi leciti e forse anche qualcuno illecito, per conquistare i voti dei paesi che sceglieranno la sede della prossima Esposizione Universale.
Nell'ottobre del 2007 i rappresentanti del BIE (il Bureau International des Expositions, che dal 1928 regola le assegnazioni delle esposizioni universali) sono in visita a Milano, accolti come capi di stato dall'Amministrazione comunale che organizza, per gli importanti ospiti, incontri col mondo della cultura e delle imprese, visite alla Scala e al
Cenacolo vinciano, gite sul lago di Como e shopping nelle vie del centro; non manca neppure un incontro ad Arcore con Berlusconi, che all'epoca non
ricopre nessun incarico istituzionale.

“Meritare l'Expo”
Per evitare che gli ospiti possano vedere anche aspetti poco "decorosi" della città, vengono allontanati alcuni senzatetto accampati nei pressi della stazione centrale. A questo proposito Sergio D'Agostini, presidente della cooperativa DAR, invia una lettera (non pubblicata) a Repubblica, dal titolo significativo "Meritare l'expo":
La scorsa settimana la Repubblica ha dato notizia che, in vista della visita degli ispettori chiamati a dare un parere sull'idoneità della città ad ospitare l'Expo 2015, il Comune avrebbe provveduto a ripulire la zona della Stazione Centrale da tutti i segni esteriori del degrado, incluso l'allontanamento - per il tempo necessario - di quei soggetti che non avendo altra soluzione lì vivono e dormono.
La notizia lascia increduli e all'inizio si pensa di non aver capito bene. Ma davvero l'amministrazione pensa di abbindolare così gli ispettori, con un lifting provvisorio, che sposta di qualche isolato la presenza dei senza casa, invece di avviare a soluzione in modo stabile il problema della mancanza di alloggi sociali a Milano? E, al di là della riuscita dell'inganno, una città che non sappia affrontare in maniera solidale e concreta il problema di offrire una casa ai suoi abitanti svantaggiati pensa davvero di meritare l'assegnazione di una manifestazione internazionale? O non c'è piuttosto da vergognarsi di una tale ipocrisia? Sì, perché il degrado della città dipende in larga parte dall'aver lasciato incancrenire i problemi sociali legati alla povertà al punto che diviene sempre più difficile farvi fronte, anche perché in tal modo si è lasciata montare nei cittadini una diffusa ripulsa per tutto ciò che viene percepito, e in parte può esserlo, come fonte di insicurezza e di pericolo. [...] Ma forse si potrebbe ancora trasformare un clamoroso infortunio in un fatto positivo se si capisse che, per presentare un biglietto da visita accettabile nella competizione internazionale, i problemi vanno risolti e non occultati e che, se non si dà una casa a chi ne ha bisogno, il degrado sarà sempre in agguato e cacciato da una parte riemergerà da un'altra. E allora, perché non proporre un patto alla città per un grande sforzo comune affinché entro il 2015 venga concretamente attuato il diritto costituzionale di una casa per tutti? [...] Se la mobilitazione delle risorse, delle intelligenze, degli operatori necessaria per realizzare l'Expo venisse finalizzata alla soluzione di un così pervasivo problema sociale, sono convinto che l'amministrazione avrebbe dietro di sé tutta la città e forse anche i comitati contro l'evento! Io credo che in giro vi sia molta voglia di poter tornare ad «amare Milano», mai così in basso per indici di gradimento, ma è necessario avere la capacità di motivarla e di mobilitarla verso un obiettivo condiviso. Al di là che si ottenga o no l'esposizione, la cosa più importante per Milano sarebbe mostrarsi capace di meritarla.

Il braccio di ferro tra Moratti e Formigoni e quello dietro le quinte
Ma non sono gli appelli che provengono da varie parti della società milanese per un diverso approccio all'Expo, non le riserve della Sinistra nelle istituzioni, non le iniziative del neonato comitato No-expo, fermamente contrario alle colate di cemento che Expo porterà con sé, che fermano il cammino di Milano verso l'Esposizione.
Il 31 marzo del 2008 l'assemblea del BIE vota per l'assegnazione dell'Esposizione 2015 a Milano, che riceve 86 voti contro i 65 per Smirne, la città turca sul Mediterraneo che, prima, aveva presentato la sua candidatura, e unica concorrente rimasta. Milano ha due anni di tempo per mettere in moto la macchina per la realizzazione dell'Expo e per presentare un secondo dossier, detto "dossier di registrazione", con la descrizione dettagliata dell'organizzazione dell'evento, delle opere che verranno
realizzate, del piano economico-finanziario che regge tutta l'iniziativa.
Alla fine dell'anno viene costituita la società Expo SpA, partecipata da Ministero dell'economia, Comune, Regione, Provincia e Camera di Commercio.
Inizia, sotto gli occhi dei giornali e dell'opinione pubblica, un duro braccio di ferro tra Moratti e Formigoni per il controllo della società.
Vince Formigoni, e viene nominato amministratore delegato della società il deputato forzista Lucio Stanca, che resta in carica dal febbraio 2009 al giugno 2010; viene ricordato soprattutto per l'impegno posto nel mantenere il doppio incarico (e il doppio stipendio) di deputato e di amministratore di Expo SpA, e per portare la sede della società da villa Scheibler (la bellissima villa cinquecentesca perfettamente restaurata e messa a disposizione gratuitamente dal Comune) al centralissimo Palazzo Reale.
Ma il braccio di ferro più importante avviene dietro le quinte, ed è quello che riguarda le aree su cui dovranno sorgere i padiglioni dell'Esposizione.

I terreni
La scelta dell'area di Rho-Pero per lo svolgimento della manifestazione si deve, ufficialmente, alle dimensioni adeguate all'importanza dell'evento (oltre un milione di m²) e alla sua posizione, vicina alle autostrade, alla nuova Fiera, a Malpensa. Di fatto rappresenta un grossissimo regalo per i proprietari delle aree. Non è un caso che il maggior proprietario dell'area, e quindi maggior beneficiario della scelta, sia la Fondazione Fiera, ente ferreamente controllato da CL e da Forza Italia, che, in quanto membro del comitato per la candidatura, ha partecipato alla scelta della localizzazione, in un classico esempio di conflitto di interessi all'italiana. Un'altra quota importante di terreni è detenuta dall'immobiliare Belgioiosa della famiglia Cabassi e quote minori dai comuni di Milano e Rho, dalle poste e da altri.
Come già sul "governo" della manifestazione, così anche sulla modalità di acquisizione dei terreni si svilupperà una polemica tra Comune e Regione, impersonati da sindaco e presidente della giunta regionale. Il Comune propende per l'acquisizione in comodato gratuito, concedendo poi ai proprietari, a Expo conclusa, la possibilità di edificare su una parte dei terreni; in questo senso già nel 2007 Moratti firma una bozza di accordo con i proprietari, sulla base di un "indice di edificabilità" 0,6 m² per m²
di terreno, un indice molto elevato che favorisce eccessivamente i proprietari e che comunque non può essere determinato dal sindaco, trattandosi di una modifica del Piano regolatore, materia di competenza del Consiglio comunale. (Qualche mese più tardi il Consiglio comunale voterà l'acquisizione delle aree in diritto di superficie, ma senza indicare nessun futuro indice di edificabilità, e anzi sottolineando che la variante urbanistica per il dopo-Expo dovrà realizzare una significativa ricaduta a favore della cittadinanza degli investimenti pubblici sull'area).
D'altra parte Formigoni preme per una diversa soluzione: l'acquisto immediato dei terreni da parte dell'Ente pubblico, che così "lucrerà l'incremento di valore dei terreni conseguente agli imponenti investimenti per Expo, anziché lasciarlo ai privati". In realtà il vero regalo ai privati è stato fatto nel momento in cui si è deciso di realizzare Expo su quell'area, indipendentemente dal meccanismo adottato (comperando subito il terreno a prezzo di area edificabile, come vorrebbe Formigoni, o concedendo l'edificabilità al termine della manifestazione, come vorrebbe il Comune).
Inascoltata la posizione di Basilio Rizzo, che dopo aver premesso che “il mio compito è quello di vigilare, nei limiti in cui lo saprò fare, sul fatto che non vengano sprecate risorse dei milanesi e che vengano garantiti ai milanesi tutti e non ad un sottoinsieme assai ridotto di milanesi i vantaggi di quello che noi faremo”, indica l'unica soluzione vantaggiosa per la città: “Noi compriamo [il terreno] come area agricola, se non ce lo danno lo espropriamo a prezzo di area agricola [come previsto dalla legge
per le opere pubbliche] e poi facciamo l’Expo e poi facciamo un grande parco”.

Vince Formigoni
La diatriba va avanti per anni, e si conclude, anche qui, con la vittoria di Formigoni e la costituzione di un'altra società, Arexpo, partecipata da Comune e Regione, che acquisterà i terreni e li concederà in uso gratuito al Comune per la durata della manifestazione, per poi edificarli e rivenderli. Ecco come racconta la vicenda Gianni Barbacetto, in un articolo del Fatto Quotidiano dell'8 giugno 2011:
Il punto di partenza è il patto Moratti-Formigoni, raggiunto dopo tre anni di un braccio di ferro tra i due che aveva impedito ogni decisione. A vincere alla fine è stato Formigoni. L'area per l'Expo sarà quel terreno sghembo tra le autostrade per Torino e per i laghi, di proprietà della Fondazione Fiera (controllata dalla Regione di Formigoni) e, in parte minore, della famiglia Cabassi. Il terreno sarà comprato da una newco, una società appositamente formata da Comune di Milano (51%) e Regione (49%), che la concederà gratuitamente all'Expo, per poi tornarne proprietaria a manifestazione finita, nel 2016. Allora potrà finalmente valorizzare l'investimento fatto oggi. Perché avrà a disposizione un'area preziosa, su cui potranno essere costruiti uffici, abitazioni, spazi commerciali e culturali. L'ente pubblico come grande operatore immobiliare: questo è il piano di Formigoni. Che ripete: vedete? Valorizzeremo un'area, ci costruiremo su, ma a guadagnarci non sarà un operatore privato, bensì i
cittadini. Il "Ligresti collettivo" si chiama Fondazione Fiera, che possiede il 70% cento dell'area Expo. Un immobiliarista geniaIe e previdente: ha comprato l'area sghemba incastrata tra le autostrade nel 2002, quando era terreno agricolo, spendendo solo 14 milioni di euro. Sei anni dopo, toccata dalla bacchetta magica di Formigoni, l'area viene scelta per l'Expo, assegnata a Milano il 31 maggio 2008.
L'anno successivo, la Fondazione Fiera iscrive a bilancio il terreno sghembo al valore di 50 milioni di euro, mentre Corrado Peraboni, direttore generale della Fondazione, ritiene che ne valga almeno 80.

L'«orto planetario»
Nel frattempo, un gruppo di prestigiosi architetti ("archistar" nel linguaggio immaginifico che sta poco a poco prendendo il posto dell'italiano), coordinato da Stefano Boeri, elabora le linee generali di un progetto del sito espositivo molto innovativo e profondamente diverso da quello con cui Milano aveva presentato la sua candidatura.
L'area vagamente rettangolare del sito viene attraversata da due assi perpendicolari, chiamati, con riferimento agli antichi insediamenti romani, il decumano quello che si sviluppa da Ovest a Est per circa 1,5 km, dall'attuale polo fieristico di Rho-Pero sino ai confini dell'area, dove sorgerà una collinetta formata dal materiale di scavo del sito, e il cardo (circa 350 metri terminanti a un'estremità con un laghetto circolare). Tutta l'area espositiva è circondata da un canale di 4,5 km, che si raccorderà col sistema dei Navigli leonardeschi (la "via d'acqua", dal canale Villoresi a nord alla rinnovata darsena di Porta Ticinese a sud).
I paesi espositori avranno un lotto di terreno lungo il decumano, dove presentare le proprie colture: verranno invitati, come dice Carlo Petrini, il fondatore di Slow Food, a mostrare quali sono gli ecosistemi del loro territorio, a valorizzare l'opera dei contadini, a presentare i saperi gastronomici di ogni paese. Questa impostazione, che Boeri definisce "orto planetario", pur inserita nel "dossier di registrazione" che Expo 2015 presenta al BIE (il bureau delle esposizioni) nella primavera del 2010 e che, approvata dall'assemblea del Bureau, diventa vincolante per noi, in realtà non piace a molti, essenzialmente per il timore che un'impostazione così radicalmente diversa da tutte le esposizioni precedenti possa spaventare i paesi che devono decidere la partecipazione e soprattutto non essere in grado di attrarre i potenziali visitatori, dal cui numero dipende totalmente il bilancio della manifestazione (direttamente, attraverso i ricavi dalla vendita di biglietti, e indirettamente attraverso le sponsorizzazioni). Certamente non piace al mondo confindustriale, e Boeri, difendendo il suo progetto in un'intervista a Repubblica nell'estate del 2011, adombra il sospetto che il problema della valorizzazione delle aree non sia estraneo alle critiche ricevute: Stefano Boeri, coordinatore degli architetti che hanno elaborato il masterplan di Expo 2015, vota sì al terzo quesito dei referendum ambientali milanesi, quello che chiede "la conservazione integrale del parco agroalimentare" che sarà realizzato sul sito dell'Esposizione universale. Perché? «Un investimento pubblico di grande rilievo come quello previsto per Expo deve potersi trasformare in un regalo per la città e il territorio milanese. La realizzazione di un parco agroalimentare sarebbe la migliore eredità che l'Esposizione può lasciare a Milano, non solo come risorsa ambientale, ma anche culturale, turistica e produttiva».
L'intesa tra il neosindaco Giuliano Pisapia e il presidente della Regione Roberto Formigoni di procedere con la newco per acquistare i terreni da  Fondazione Fiera e Cabassi va in questa direzione? «Nel dossier di Expo la somma delle costruzioni permanenti arrivava a un tetto massimo di 220 mila metri quadrati, che equivale a un indice di edificazione di 0,20, una cifra ragionevole. Ora la valutazione di vendita delle aree è stata fatta su un indice di 0,52 che farebbe crescere le volumetrie a 720 mila metri quadrati. Mi pare una strada diversa da quella di costruire un grande parco agroalimentare da lasciare a Milano».
Come è noto, l'esposizione che si sta realizzando ha abbandonato i campi coltivati a favore della tecnologia, l'«orto planetario» ha lasciato il posto alla «smart city». Questo radicale cambiamento di rotta non cancella soltanto gli orti, ma anche quello che questi rappresentavano:uno squarcio sulla realtà di chi produce cibo dalla terra, uno stimolo per una riflessione sul lavoro contadino, sulla sovranità  alimentare, sui cibi naturali, e così via. Adesso, in un'Expo che ha per motto “Nutrire il pianeta”, l'immagine che rimane è quella degli sponsor, tra cui tutte  le grandi multinazionali dell'alimentazione, le stesse che, secondo un'icastica definizione di Emilio Molinari, sono responsabili del fatto che al mondo ci sono un miliardo di affamati e un miliardo di obesi.
Anche il progetto di via d'acqua viene contestato, per la cementificazione dei parchi attraversati e per i rischi di danni ambientali (il tracciato originario prevede l'attraversamento di terreni fortemente inquinati). Ambientalisti e residenti nelle zone interessate si oppongono all'avvio dei lavori e sostengono un progetto alternativo, elaborato da esperti del Politecnico e presentato da Italia Nostra, che utilizzando i fontanili e i canali di irrigazione preesistenti è meno invasivo e anche meno costoso del progetto iniziale. Ad oggi non è ancora chiaro quale sarà il tracciato definitivo della via d'acqua.

Le promesse
Ma scorriamo altri capitoli del dossier, quello delle grandi promesse, in particolare il capitolo relativo ai trasporti. Da sempre le esposizioni sono state il motore per un rafforzamento delle reti di trasporto per l'accesso ai siti espositivi (Siviglia ha avuto il collegamento ferroviario veloce con Madrid, Hannover ha potenziato la rete tramviaria, Lisbona ha ampliato la rete della metropolitana...).
Dopo aver premesso che il sistema dei trasporti milanese e lombardo, con i suoi tre aeroporti, centinaia di chilometri di linee ferroviarie e di autostrade e uno sviluppato sistema di trasporto pubblico urbano, è perfettamente in grado, già ora, di sostenere la domanda incrementale di trasporto dovuta a Expo (calcolata in 320.000 viaggi/giorno per 160.000 visite, pari a 29 milioni di visite per l'intera durata della manifestazione), considera Expo un'occasione irripetibile per migliorare l'accesso all'area espositiva e in generale potenziare il sistema di trasporto lombardo.
Segue un lungo elenco di opere ("essenziali", "connesse" e "necessarie"), aeroportuali, ferroviarie, stradali, di trasporto pubblico locale, volte a migliorare e ampliare le connessioni tra il sito espositivo e vari punti della città e della regione.
In particolare, per quanto riguarda la rete metropolitana milanese, il dossier prevede;
• M1: prolungamento da Sesto FS a Monza Bettola;
• M4: Linate - Lorenteggio
• M5: Bignami - Garibaldi - Axum
• M6: Baggio - Castelbarco (assorbe il ramo Bisceglie di M1)
Il completamento delle opere entro il 2015 è garantito da un accordo, del 30 luglio 2007, tra gli enti locali e il ministero delle infrastrutture. Sappiamo tutti come è andata a finire.

Un vento nuovo
Ma a metà strada tra il primo voto del BIE (31 marzo 2008) e l'inaugurazione dell'esposizione (1° maggio 2015) a Milano succede qualcosa di importante e nuovo: dopo vent'anni di governi di destra, Milano torna a darsi un sindaco espressione delle forze democratiche e popolari della città. E' la vittoria di Pisapia, la nostra vittoria, che in centinaia di migliaia celebriamo in piazza del Duomo in una splendida giornata di primavera del 2011.
Confesso che per un momento ho sperato che il nuovo sindaco interpellasse la città sul seguito da dare alla vicenda Expo. Quale che fosse il risultato di un referendum sul tema (favorevole o contrario a proseguire) avrebbe messo a tacere le polemiche e avrebbe rafforzato la nuova amministrazione. Ricordavo il caso di un predecessore di Pisapia, il radicale Giuseppe Mussi, che, eletto sindaco alla vigilia del nuovo secolo dopo 40 anni di dominio della destra, mette in pratica una coraggiosa politica progressista: viene realizzato il servizio di refezione scolastica per i bambini bisognosi delle prime tre classi elementari; si aprono i cantieri per costruire scuole; si inaugura il primo albergo popolare d'Italia, in via Marco D'Oggiono, con 530 stanze. Il 15 dicembre 1901 i cittadini milanesi sono chiamati alle urne sul quesito «Se il Comune abbia a concorrere alle spese di esercizio del Teatro alla Scala», cioè a scegliere tra un'icona della città, com'era, già allora, il teatro alla Scala, e i bisogni concreti della popolazione, in particolare per la pubblica istruzione. Gli aventi diritto sono 56.983 e i votanti sono 18.908: i No ottengono 11.460 voti mentre 7.214 si esprimono per il Si. In seguito all'esito del referendum il Comune riduce la dote alla Scala a 60.000 lire annue.

Dar voce ai cittadini
Il quesito sulla prosecuzione di Expo non viene posto alla cittadinanza, forse per i tempi strettissimi, forse per il convincimento che gli aspetti positivi di Expo superino quelli negativi.
In realtà un referendum su Expo si tiene proprio pochi giorni dopo la vittoria di Pisapia, ma riguarda il futuro dell'area espositiva, senza prendere in considerazione la possibilità di rinunciare. Peraltro anche il quesito referendario è ormai fuori tempo, dato che chiede di mantenere il "parco agroalimentare" che non sarà mai realizzato (partecipa al voto quasi metà degli aventi diritto e il 95% si pronuncia per la conservazione del parco).
Ecco come affronta il tema una voce storica della periferia milanese, il Circolo Perini di Quarto Oggiaro (quartiere molto vicino all'area Expo). Dopo avere sintetizzato le vicende che hanno portato al pratico abbandono del progetto "orto planetario" e dopo avere invitato la popolazione a partecipare a un dibattito sul tema «Dalle periferie all'Expo Universale 2015 - Memoria storica e rinnovo urbano», l'appello prosegue:
Gli unici assenti sono gli abitanti dei quartieri e dei Comuni dell'area Nord-Ovest di Milano, i più interessati al processo di trasformazione urbana del territorio circostante e che rischiano di essere penalizzati. La popolazione dell'area metropolitana Nord-Ovest di Milano non ha alcuna voce in capitolo per fare rispettare la memoria storica e per salvaguardare il paesaggio ambientale che andrebbe conservato a verde pubblico attrezzato a beneficio di tutti.
Questo grandioso processo di trasformazione urbana rischia di identificarsi con una cementificazione massiccia che fa scempio di un'area agricola. Il progetto, per i grandi interessi che esprime, è calato dall'alto, senza alcuna partecipazione da parte dei cittadini residenti, degnamente rappresentati da una fitta rete di associazioni culturali e di volontariato operanti, da decenni, sul territorio. [...] Noi rivolgiamo un appello al Sindaco e alla Nuova Giunta Comunale perché discuta anche con i cittadini della periferia i problemi prioritari riguardanti la riqualificazione dei quartieri della periferia attraverso una progettualità urbanistica e socio-culturale partecipata. Crediamo nello
spirito democratico contenuto nel terzo quesito referendario voluto dal Comune di Milano il 12 e 13 Giugno, laddove i cittadini hanno ribadito la richiesta che «il Comune di Milano garantisca la conservazione integrale del parco agro-alimentare, che sarà realizzato sul sito Expo e che dovrà essere connesso al sistema delle aree verdi, Parco delle Groane e Parco Sud, e delle acque, sistema dei Navigli, senza comportare oneri a carico del Comune.
Si rispetti almeno questa volta la volontà popolare dei cittadini che hanno espresso con il voto la loro inequivocabile scelta sul futuro dell'Expo.

Finalmente si parte
Estate 2011: nelle settimane che seguono l'elezione di Pisapia la marcia verso Expo, dopo anni di stasi, subisce un'improvvisa accelerazione. Il 1° giugno viene costituita Arexpo, con la partecipazione, oltre che di Comune e Regione, anche di Fiera Milano e, con quote minime, del comune di Rho e della provincia; ben presto la nuova società firma dei contratti preliminari vincolanti per l'acquisto dei terreni; in luglio giunta e consiglio comunale (con il solo voto contrario dei due consiglieri della sinistra e del consigliere cinque stelle) varano l'«accordo di programma urbanistico» per la trasformazione dell'area; in agosto Expo lancia il primo bando di gara, per la rimozione di tutte le interferenze dall'area espositiva. Con l'avvio della fase operativa si pongono concreti problemi di controllo contro i rischi di infiltrazioni mafiose, di corruzione nelle assegnazioni degli appalti, di fenomeni di caporalato e di lavoro nero nel settore delle opere edili. In questo campo si registra una novità rispetto a esperienze precedenti, indice di una reale volontà di pulizia, o almeno riconoscimento di una nuova sensibilità dell'opinione pubblica verso questi temi. Si tratta della firma di alcuni "protocolli d'intesa" a tutela della sicurezza e salute sul lavoro e della legalità che coinvolgono anche le organizzazioni sindacali CGIL, CISL e UIL. Tali accordi sono stati criticati da alcuni perché in qualche modo ufficializzano rapporti di lavoro precari o sottopagati. D'altra parte i sostenitori degli accordi fanno rilevare la particolare complessità della situazione (estrema varietà dei datori di lavoro, incluso committenti stranieri non soggetti alle norme sul lavoro italiane, estrema varietà delle tipologie di lavori richiesti, ricorso al lavoro volontario previsto dagli accordi col BIE), e soprattutto l'importanza di una riconosciuta presenza sindacale a tutela dei diritti di categorie di lavoratori particolarmente deboli. Nel complesso si può affermare che il sistema di tutele del lavoro nei cantieri e l'azione di esclusione delle aziende in odore di mafia ha funzionato.

Torna la corruzione
Non così per quanto riguarda la difesa dalla corruzione. In Italia, è noto, gli appalti pubblici sono il campo d'azione preferito per i ladri del denaro dei contribuenti: una torta di circa 150 miliardi all'anno, regolata da un insieme di norme anticorruzione (prima la legge Merloni, più recentemente il "codice dei contratti pubblici") teoricamente molto stringenti, ma di fatto facilmente aggirabili. La strada maestra per l'assegnazione degli appalti è quella detta "procedura aperta" o "pubblico incanto", in cui tutte le aziende interessate e in possesso dei requisiti minimi richiesti possono partecipare al bando e sottoporre la loro offerta. In questo modo si rendono difficili, se non impossibili, accordi sottobanco tra le imprese per spartirsi gli appalti, anche attraverso partecipazioni incrociate ai subappalti. Accordi di questo genere sono viceversa molto più facili nel caso della "procedura ristretta", in cui sono ammesse a presentare offerte solo poche aziende "invitate" dall'appaltante.
Naturalmente la truffa funziona meglio se c'è la complicità dei funzionari dell'ente appaltante, quelli che, accampando motivi di urgenza o suddividendo l'importo dei lavori in appalti più piccoli, possono indire gare ristrette laddove sarebbero previste gare aperte, e successivamente selezionano le imprese "invitate" a presentare offerte.
E questo è proprio quello che è accaduto, stando alle indagini in corso da parte della magistratura milanese i cui risultati alimentano quotidianamente le cronache. Secondo un'indagine del settimanale "left" del maggio scorso, nel 2012-13 Expo ha assegnato appalti per 357 milioni di euro, di cui solo 63 (il 18%) con una gara aperta; 70 milioni a trattativa privata e il grosso con procedura ristretta.
Scrive l'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici, in un rapporto precedente lo scandalo Expo, e indicativo di un andazzo diffuso: Dall'esame degli elementi acquisiti attraverso le indagini compiute nell'ambito della attività di vigilanza dell'Autorità, emergono dati preoccupanti circa il ricorso «disinvolto» allo strumento della procedura negoziata effettuato da alcune stazioni appaltanti; nello specifico, tra le altre, vengono in rilievo le problematiche relative all'obbligatorietà della motivazione,
all'artificioso frazionamento dell'importo degli appalti, all'insussistenza  dsdei motivi d'urgenza assunti a fondamento del ricorso alla procedura negoziata ex articolo 57, comma 2, lettera c, alla gestione delle gare con modalità non conformi alle disposizioni del Codice.
Vincere la gara però non basta, soprattutto se l'impresa, per aggiudicarsi l'appalto, ha dovuto praticare un forte ribasso sul prezzo base. Ecco allora spuntare, con i più vari pretesti, le “varianti in corso d'opera”, le “riserve” e altri meccanismi. Certamente nella maggioranza dei casi tali richieste extra sono giustificate, ma non c'è dubbio che molte non lo sono, ed è evidente che questi casi offrono ampio spazio a fenomeni correttivi.

Cosa è successo a Milano?
CMC vince l'appalto per la rimozione delle interferenze (cioè di tutto quello, sopra e sotto il terreno, che potrebbe ostacolare i lavori) con un'offerta di 58,5 milioni, contro una “base d'asta” di 90; poi però chiede altri 30 milioni per bonifiche.
Mantovani vince l'appalto più importante, quello per la “piastra”, con un'offerta di 165 milioni, a fronte di una base d'asta di 272 milioni; nel 2013 chiede, e ottiene altri 41 milioni, e nel 2014 ne chiede altri 69.
Sarà la magistratura a stabilire se queste richieste e questi pagamenti sono legittimi o frutto di corruzione. Un altro modo per "pilotare" le gare è stato sottolineato dal magistrato che indaga sulla condotta di Antonio Acerbo, e consiste nel modulare il punteggio assegnato ai progetti così da favorirne alcuni a scapito di altri. Se posso permettermi un'autocitazione, ho vissuto personalmente un'esperienza di continua modifica dei criteri di valutazione delle offerte, che, pur in assenza di ogni sospetto di corruzione, ha praticamente ribaltato la scala di valori alla base dell'iniziativa,
azzerandone l'obiettivo dichiarato. Si trattava di un bando comunale per l'assegnazione a operatori privati diaree a standard per la realizzazione di alloggi in affitto e in vendita a prezzi calmierati. La piccola cooperativa in cui ero impegnato riesce a presentare un'offerta che realizza più appartamenti in affitto, per un periodo di tempo più lungo, a canoni e a prezzi di vendita inferiori a quelli del progetto vincente (circa 400.000 euro in meno sulle vendite e circa 600.000 euro in meno, in 30 anni, sugli affitti, cioè un milione di euro complessivamente risparmiati dalle famiglie che entreranno negli alloggi). Per questa netta superiorità in tutti i parametri quantitativi ci vediamo riconoscere un vantaggio di 16 punti, mentre siamo 70 punti sotto, e di conseguenza perdiamo la gara, per le voci "progetto architettonico" e "progetto urbanistico", chiaramente non misurabili e quindi a totale discrezione della commissione.

Dov'è la politica?
Tornando a Expo, gli interventi della magistratura hanno il grande merito di far conoscere all'opinione pubblica, e qualche volta di punire, le ruberie, le truffe, le magagne allegramente praticate nel nostro paese, non a caso classificato agli ultimissimi posti in Europa da Transparency International, l'organismo privato che monitora il livello di corruzione nei diversi paesi. Tuttavia, per definizione, la magistratura interviene per colpire i reati dopo che sono stati commessi, mentre occorrerebbe intervenire prima, impedire che i reati vengano commessi, e questo dovrebbe essere il compito della politica. Purtroppo, l'assenza di qualsiasi serio tentativo di combattere la corruzione (e, in quanto a questo, anche l'evasione fiscale), la quantità e il livello degli indagati in relazione agli appalti Expo, come prima i risultati delle indagini sulla sanità lombarda e parallelamente le vicende relative al Mose, lo strettissimo legame tra corrotti, corruttori ed esponenti del mondo politico, tutto ciò configura un rapporto organico tra partiti e imprese private e un altrettanto organico conflitto di interessi tra partiti ed economia, un intreccio devastante che stritola la politica.
Il problema è come rompere questa realtà con una politica alternativa.

Una sintesi
Sin qui la cronaca di questi otto anni di rincorsa all'Expo. Lotta per le poltrone, speculazione sulle aree, malaffare: con Expo abbiamo visto di tutto, anche al di là delle peggiori previsioni. Chi di noi aveva, e ha, responsabilità istituzionali (penso, per esempio, a Basilio Rizzo inComune e a Massimo Gatti in provincia) non ha mai mancato di far sentire la sua voce, denunciando il pericolo di speculazioni e il rischio di episodi di corruzione, poi puntualmente verificatisi. Nessuna delle promesse annunciate con grandi fanfare si sta realizzando: non le decine di migliaia di posti di lavoro; non le grandi infrastrutture di trasporto pubblico (solo la linea M5 sarà parzialmente pronta, non la M6, lasciata cadere mentre era ancora fresco l'inchiostro con cui era stata annunciata nel dossier di candidatura, non la M4, appena avviata e già messa in discussione, non il prolungamento della M1 a Monza), non l'«eredità» di Expo, la futura utilizzazione dell'area espositiva, ancora in attesa delle risposte al bando lanciato dal Comune (città della salute, della giustizia, dello sport, o residenza intensiva per attrarre gli investitori che dovranno permettere ad Arexpo di recuperare i milioni spesi per l'acquisto dell'area?).
Siamo tra coloro che ritengono che Expo non avrebbe mai dovuto farsi: che le ingenti risorse messe in campo per la realizzazione di questo "grande evento" avrebbero potuto essere spese più utilmente in altri modi, con ricadute probabilmente superiori in termini di posti di lavoro, di benessere per i cittadini e di sviluppo per la città. Tuttavia oggi l'evento c'è, tra sei mesi aprirà le sue porte e centinaia di manifestazioni si svolgeranno dentro e fuori il recinto fieristico.
Di fronte a un evento che non mancherà di coinvolgere, in un modo o nell'altro, tutta la città, non possiamo limitarci a denunciare il mal fatto, non possiamo restare passivi. Vogliamo mobilitarci insieme a tutte le forze disponibili per far sì che, malgrado tutto, questa manifestazione lasci a Milano qualche eredità positiva e non solo una montagna di debiti.

Il nostro dibattito
Cosa è Expo oggi, e cosa rappresenterà per i milioni di visitatori, per le decine di migliaia di giovani che vi faranno una breve esperienza di lavoro, per le centinaia di associazioni che animano l'esperienza del padiglione della società civile che avrà la sua sede nell'unico edificio da tempo esistente nell'area espositiva, la cascina Triulza? Che cosa lascerà Expo alla città che la ospita? E, soprattutto, come affronterà Expo il grande tema dell'alimentazione e dell'energia? Altri porteranno dopo questo mio intervento specifici contributi in tal senso. Ciò che temo è che sia  ormai molto difficile ridare ad Expo la sua iniziale proclamata missione,  quella di dare una tribuna al tema: “Nutrire il pianeta, energia per la vita”, ovvero a sensibilizzare e proporre alternative alla drammatica realtà del sistema alimentare globale e ai problemi che attraversa il pianeta nel garantire a tutti i suoi abitanti cibo sufficiente e salubre, acqua potabile e acqua per tutti i contadini che intendono coltivare il proprio campo.
Temo che l’immagine di Expo sia ormai stretta tra una vetrina per le multinazionali dell’agrobusiness e quella della gastronomia per ricchi, anziché un luogo per affermare la sovranità alimentare, un modello alternativo al disastro in cui le multinazionali ci hanno portato.
Produciamo un terzo in più di ciò che è necessario per alimentare tutti e ne buttiamo via un terzo e abbiamo contemporaneamente un miliardo di affamati e un miliardo di obesi. Per produrre tutto il cibo che arriva sulle tavole di 6 miliardi di persone consumiamo l’80% di tutta l’acqua prelevata e il 47% di tutta l’energia prodotta da quei combustibili che hanno determinato i mutamenti climatici.
Di chi la colpa di questa situazione? Cosa mangeremo e cosa berremo nei prossimi decenni? Una domanda che esemplifica tutta l’essenzialità e  la materialità dei problemi del nostro tempo. Da Expo poteva venire un messaggio politico al mondo perché affrontasse il futuro dotandosi di istituzioni che pongano al centro i diritti fondamentali alla vita.
Siamo ancora in tempo? Non lo so, noi proveremo a dare il nostro contributo di idee.
Piero Basso, Collettivo Costituzione e beni comuni

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