mercoledì 2 ottobre 2013

Donne e pubblicità. Ancora sulla delibera del Comune di Milano: su Arcipelago Milano

Ne abbiamo già parlato qui. Ora la questione è risollevata su Arcipelago Milano: in un pezzo firmato collettivamente, da 5 donne milanesi. 
Ecco alcuni stralci:
Stupore e una cascata di domande preoccupate. Questo ha generato il secondo punto della Delibera del Comune di Milano del 28 giugno su: “Indirizzi fondamentali in materia di pubblicità discriminatoria e lesiva della dignità della donna” in cui si legge che sono considerati “messaggi incompatibili con l’immagine che intende promuovere: (…) punto 2) le immagini volgari, indecenti, ripugnanti, devianti da quello che la comunità percepisce come “normale”, tali da ledere la sensibilità del pubblico.” I termini che qui troviamo Normale, Comunità, non si leggono con leggerezza e nonchalance. Stupisce e dispiace leggere questi riferimenti confusivi in una Delibera che vuole contrastare la diffusione della pubblicità discriminatoria e lesiva della dignità delle donne. (...) 
Oggi non ci preme discutere qui tutta la delibera, il suo quadro di senso possiamo certamente dire che è apprezzabile e significativo e rilevante … se non fosse che c’è il punto 2 e il quadro si confonde e qualche preoccupazione sorge tra alcune donne di Milano e di altrove. 
Altrove dove? Roma, ad esempio:


Quali le domande che suscita in noi come in altre? Solo per citare il collettivo Ambrosia e Politica femminile Lombardia.
Continua il pezzo (i link sono aggiunti da noi): Forse siamo in ritardo (la delibera è di giugno, il convegno di un paio di settimane fa) ma non lo è la questione che il tema pone, che riaffiora a ogni occasione. In questi giorni è la Presidente Boldrini a fare richiami sulle immagini stereotipate nei tanti spot pubblicitari della “donna che serve a tavola”
Qui l'intervento citato (e vedi anche QUI, riguardo alle polemiche sollevate dalla cosa):

e dunque la dichiarazione riferibile di Barilla: “Non faremo pubblicità con omosessuali perché a noi piace la famiglia tradizionale.” Potremmo anche domandarci: la “famiglia tradizionale” per, e a cui, vendere pasta non è in fondo coerente a una delle possibili letture di questo punto 2? 
Infatti, quale sarà la “normalità” che la “comunità” di riferimento percepisce? Come la percezione verrà rilevata e una misurazione adeguata applicata? Chi, tra i tanti funzionari del Comune di Milano, si accollerà l’arduo compito amministrativo un giorno dopo l’altro, cartellone dopo cartellone? Perché si è avvertita l’esigenza di utilizzare questo concetto? Perché dimenticare che è stato Franco Basaglia a insegnarci che “da vicino nessuno è normale”, che troppo facilmente la normalità si fa norma, e appunto legiferando discerne tra chi lo è e chi non lo sarebbe. E poi cosa?
Assunto questo principio in norme e normative comunali, perché non immaginare che un anonimo funzionario o una Giunta di diverso colore lo utilizzino per decidere quanto sia “psichicamente normale” quel paziente (o ex tale) per ottenere un lavoro, quanto sia “sessualmente normale ” quella famiglia per ottenere l’accesso alla lista delle case popolari … e via discorrendo. 
Senza correre troppo avanti già adesso nota il collettivo Ambrosia “E se il pubblico trovasse ripugnante vedere due donne che si baciano? E se la comunità ritenesse indecente una donna grassa in bikini? E se trovasse volgari due uomini che si tengono per mano”? (la Giunta nel corso dell’ultimo anno ci ha spesso ricordato che la “macchina comunale è complicata, lenta, immodificabile”).
La normalità che si fa norma ha una forza lo sappiamo, riappare, riemerge e rischiamo di ritrovarla laddove non sembrava prevista. Soprattutto perché il punto la coniuga con “comunità”, che per primo Tonnies contrappose a “società”, e la tensione tra i due termini è recentemente riattualizzata da un sociologo a pieno titolo divulgatore europeo, Bauman che argomenta in un suo fortunato testo: “l’attrazione che la comunità (…) esercita poggia sulla promessa di semplificazione, poiché significa l’espunzione delle differenze (…). L’unità comunitaria è fondata sulla divisione (di chi non ne fa parte), sulla segregazione, sul mantenere le distanze.” Nella battaglia contro l’incertezza, la comunità cede libertà degli individui in cambio di sicurezza. Nella società accade il contrario, restando sempre in ambito disciplinare, poiché Milano città Metropolitana aperta all’Europa e al mondo, assomiglia certo più a una società che non a una comunità preindustriale.
A quest’immagine intendeva riferirsi il punto 2? Un concetto di “normalità” percepito come tale da una comunità che evita le differenze? Già a fine giugno il Corriere della Sera scriveva che “(…) uno dei punti destinati a far discutere sarà il punto 2 (…) quale percezione della normalità?” La lotta contro la pubblicità sessista è infatti una lotta a un’immagine di “normalità femminile”, che sia la madre stereotipata di cui sopra, o una fanciulla denudata ad accarezzar auto … anche questa è stata “normalità”, quella ormai criticata da più di dieci anni come immagine stereotipata e sessista.
E infine, ma non per importanza: questa Delibera presentata sul sito del Comune, nelle interviste della vicensindaco e negli interventi alla giornata del 17 settembre, non è considerata come un atto puramente di amministrazione ordinaria, ma piuttosto come: “Un bel lavoro condiviso tra Giunta, Consiglio e delegata alle Pari Opportunità.”
Sono particolarmente soddisfatta di questo obiettivo raggiunto – dichiara la delegata del Sindaco alla Pari Opportunità Francesca Zajczyk – sia per il contenuto sia per il metodo. Questo provvedimento, infatti, è il risultato di un lavoro comune con le altre figure istituzionali in prima fila sui temi della parità e dei diritti, ognuna con le proprie competenza e sensibilità, come le consigliere Marilisa D’Amico e Anita Sonego. Ma è anche il prodotto di un percorso di ascolto e confronto con esperte ed esperti, professioniste e politiche impegnate su questi temi.
Condiviso dunque anche questo punto 2? Quali sollecitazioni sul tema della normalità hanno proposto le esperte e le politiche? Hanno sollevato perplessità? Chi in questo percorso condiviso l’ha proposto? E una discussione dove è avvenuta? Tante assemblee in Sala Alessi, qualche riunione di un tavolo sulla Pubblicità Sessista, e il tema non è stato sottoposto alla partecipazione delle donne milanesi? Sappiamo che il ruolo della Delegata è a Milano un ruolo a costo zero, a lungo senza un ufficio. Non ha fondi e finanziamenti che possa gestire direttamente. Non capiamo l’origine e le motivazioni di queste scelte, tantomeno a metà mandato di questa amministrazione e mentre un protagonismo femminile è presente in tanti e diversi luoghi della città, prende parola su temi che vanno oltre le emergenze. 
Perché il ruolo della Delegata mantenga questi contorni “sottili” non ci è chiaro, mentre è chiaro che limitate possono essere le nostre interlocuzioni con un ruolo così disegnato. 
E intanto...: Alla Giunta e al Consiglio chiediamo di eliminare quel punto 2, non emendabile.  
La fonte, con il pezzo completo: Donne, pubblicità, normalità: l'inutile leggerezza delle parole in una delibera (di Paola Ciccioli, Antonella Coccia, Donatella Martjni, Maria Grazia Ghezzi, Adriana Nannicini, 1 ottobre 2013)

2 commenti:

  1. bravissime. Mettere finalmente in discussione il linguaggio che si usa nelle delibere, tantopiù se inviate in consiglio da donne che ci hanno lavorato, mi sembra un salto politico importante che dovremmo imitare anche in altre città. Sono molto d'accordo con il fatto che meglio sarebbe eliminare la frase del punto2 così ambigua, con questo concetto di normalità, che può essere facilmente utilizzato contro le donne anche

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    1. brave si. E soprattutto se vogliamo considerare Milano un "laboratorio politico" per le donne, come tanto si era ripromesso di fare questa Giunta, non si può essere superficiali, e cosa si decide a Milano è ovviamente una cosa che riguarda tutte, in qualunque città siamo.

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