mercoledì 4 dicembre 2013

Donatella Martini

Care amiche, accetto con piacere l'invito di Politica Femminile, uno strumento straordinariamente nuovo: per quanto - proprio per la novità della sua concezione - possa richiedere tempo per radicarsi, penso questa iniziativa potrà dare senz'altro grande impulso alla comunicazione fra donne e a far conoscere il pensiero femminile. Aderisco come autrice a questo blog, in particolare, come presidente e confondatrice dell'associazione DonneinQuota che, pur rivolgendosi a tutto il territorio nazionale, è particolarmente attiva e radicata sul territorio lombardo.
L’associazione è nata nel 2006 dopo il corso “Donne, politica e istituzioni”, tenutosi allora all’Università degli Studi di Milano e che – ancora oggi - continua a replicare in decine di università italiane diverse allo scopo di favorire l’ingresso delle donne in politica.                                                                                                                                 
DonneinQuota si occupa principalmente di rappresentanza politica femminile e di rappresentazione delle donne nei media.                       
Nell'ambito delle nostre attività nella Lombardia mi piace qui ricordare come DonneinQuota abbia vinto il ricorso al Tar, nel 2012, contro la giunta regionale lombarda, allora composta da 15 uomini e 1 sola donna, in palese violazione dell’art. 11 dello statuto regionale.
Inoltre il disegno di legge, da noi proposto come Comitato Immagine Differente, sulla parità e la non discriminazione tra i generi nell’ambito della pubblicità e dei mezzi di comunicazione. A Milano abbiamo anche organizzato, nel 2011, il 1° Meeting sull’immagine delle donne nella tv pubblica in Rai. 
Fra le mobilitazioni da noi promosse ricordo infine il flash mob di protesta Non solo Miss, nel 2012, che contestava la scelta Rai di dedicare ben 5 serate alla kermesse di Miss Italia. Trovate qui un report del blog un altro genere di comunicazione, che ringrazio. 
Riteniamo infatti che la cosiddetta ammiraglia del servizio pubblico dovrebbe puntare molto di più sulla cultura e la vera informazione, e promuovere ben altra immagine della donna: su questo fronte siamo costantemente impegnate, a partire dall'attento monitoraggio che facciamo sui contratti di servizio. 
Un saluto a tutte, auguriamoci buon lavoro
Donatella Martini



venerdì 29 novembre 2013

Difesa #Legge194: Marina Terragni scrive ad Alessandra Kustermann

Riportiamo questo scambio perché su un tema di importanza centrale per tutte le donne, in qualunque città - e, sia ben chiaro, fuori da ogni polemica: solo perché andare a fondo dei problemi è giustoAlessandra Kustermann (che, per inciso, sarà stasera al dibattito pubblico sul femminicidio, alla Casa della Cultura) è una figura di riferimento a Milano, specie per noi donne. 
Anche per questo alcune si sono allarmate che proprio lei, che nei suoi ambiti si è sempre prodigata per la #Legge194, abbia dato indicazione di votare alle primarie per il candidato che ha promosso, a Firenze, la controversa operazione del "cimitero dei feti". E nel farlo ha detto, fra l'altro: tra pochi giorni si svolgeranno le primarie per la scelta del segretario del PD, aperte a chiunque voglia votare. (...) le primarie sono un mezzo per decidere chi chiamare a dirigere il maggior partito del centrosinistra. Io ho scelto di votare Renzi, anche se sono di sinistra da sempre e non ho cambiato idea. (...) Perchè ho scelto lui che è così distante apparentemente da me? Forse proprio per questo. Un cambiamento è necessario, se vogliamo governare con le nostre idee e con i nostri programmi. (...) Chi ha sbagliato paghi e proviamo a voltare pagina (qui la dichiarazione integrale). 
Le risponde Marina Terragni, in modo molto diretto, e ponendo l'attenzione anche su fatti recenti che riguardano diverse giornaliste:
Cara Ale, dicendo: ho scelto di votare Renzi, anche se sono di sinistra da sempre e non ho cambiato idea, stai comunicando a chi legge che Renzi è di destra. In effetti, tra le molte altre cose, un sindaco che edifica un cimitero dei feti non è sicuramente un uomo di sinistra. Sai che ne abbiamo discusso parecchio nelle scorse settimane, e sai che un conto è la sepoltura già consentita dalla legge, un altro un "giardino degli angeli" sul modello Alemanno, armamentario ideologico che si accompagna sempre a un attacco alla legge 194, già malconcia e sostanzialmente disapplicata. Un attacco sul quale una donna con la tua storia di grande impegno civile non può essere d'accordo: anche il Corriere e la Repubblica ti hanno posto davanti alla contraddizione. Mi ha molto stupito che tu non fossi accanto a noi che abbiamo dato l'allarme su questa vicenda. Di più: il fatto che tu non vedessi problema nel cimitero dei feti ci è stato puntato addosso - a Lidia Ravera, a me e altre - da molta stampa di destra, dalla quale siamo state definite addirittura "nazifemministe": non abbiamo avuto, purtroppo, la tua solidarietà, ed è stata una brutta sorpresa. Vista la tua candidatura, alcune hanno pensato che tu non ti sia esposta contro questa brutta storia fiorentina proprio perché stavi discutendo una tua posizione nelle liste di Renzi. Non posso credere che le cose stiano così, perché andrebbe contro tutta la tua bellissima storia. Sono sicura che, candidatura o non candidatura, ti esprimerai con grande chiarezza contro quell'iniziativa, che sta facendo epigoni a Vicenza, a Modena e in molte altre città, che si affianca a una vigorosa ripresa di iniziativa dei no-choice, fra cui una raccolta di firme per un nuovo referendum abrogativo. (M. T. 29 novembre 2013)
Ribadiamo: si tratta di temi di importanza centrale per tutte le donne, in qualunque città.

Ci sembra giusto che Kustermann si candidi con chi crede opportuno. In effetti si è già espressa con chiarezza anche riguardo a iniziative come "i cimiterini degli angeli" - ma non si può negare che queste operazioni, più ideologiche che umanitarie, alimentano gli attacchi alla legge 194, che è già in gravissime ambasce. E soprattutto, ci piacerebbe volesse approfondire la questione non solo per difendere se stessa (o chiarire meglio le sue posizioni), quanto per spuntare le armi di chi osa definire le donne impegnate su questioni cruciali per tutte le donne, e per tutta la società "nazifemministe che manganellano le donne". Cara Alessandra Kustermann: per favore entra nel merito direttamente anche in difesa delle donne e della dura battaglia per mantenere posizioni che si stanno erodendo, come il suolo che manca sotto i piedi e poi frana.

Intervista rilasciataci da Kustermann esattamente un anno fa: 

Femminicidio: fenomeno sociale / patologia soggettiva

Stasera alla Casa della Cultura, in via Borgogna 3. Sul complesso tema del femminicidio un incontro interessante, da un punto di vista interessante, con numerose partecipazioni altrettanto interessanti. 



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domenica 24 novembre 2013

Chi decide la normalità? dalla normalità al metodo: un aggiornamento

Sulla questione delle pressioni fatte alla Giunta perché, dalla delibera milanese contro la pubblicità sessista, si stralci il problematico punto 2 (in quanto considerato pericoloso, oltre che inessenziale ai fini della delibera stessa): come è andata a finire? 
In sostanza: dopo numerosi eventi di sollecito e dibattiti collegati, la delegata del sindaco alle pari opportunità, Francesca Zajczyk, ha incontrato alcune fra le donne che hanno promosso la richiesta di stralcio, dichiarando che:
  1. la delibera di Giunta 1288, ancora in una fase sperimentale, sarà sottoposta a verifica da qui a primavera: una sorta di protocollo includerà, fra le sue fasi, anche le sollecitazioni ricevute tramite questa lettera;
 2. solo a quel punto potranno essere apportate eventuali modifiche, che potranno includere lo stralcio del punto 2;
  3. in veste di delegata informerà il Sindaco di tutte le considerazioni fatte nella riunione.
E' stata dunque espressa un'apertura; ma fino a quel momento le cose restano come sono: l'appuntamento per sapere come va a finire si sposta a dopo marzo 2014. C'è da segnalare che, a chiusura di tale incontro, una delle donne presenti ha chiesto alla delegata di portare al Sindaco, con l'occasione, anche la questione del metodo: ma l'argomento è stato considerato non pertinente, fuori tema rispetto all'ordine del giorno della riunione - dunque escluso che si potesse riferire al Sindaco.
Restiamo in attesa, certe che la richiesta sul punto 2 andrà a buon fine (e la questione del metodo aperta). Come dice Monica Lanfranco, non si tratta di questioni di  lana caprina. E come dice Maria Grazia Campari: questo non è e non può essere presentato come un tormentoso conflitto fra donne, è un necessario conflitto per l’attuazione della democrazia. Ma anche - come dice Beltrami Gadola, è ora che il sindaco ci chieda se siamo felici.
Per tutte queste ragioni, al di là del "punto 2" in sè, riteniamo utile lasciare visibile il sentiero che condurrà all'epilogo di questa vicenda (con le relative implicazioni politiche, di contenuti e di metodo) - per chi volesse percorrerlo anche più avanti. A partire dal riepilogo cronologico essenziale del percorso già fatto (nel testo tutti i link agli approfondimenti):

sabato 16 novembre 2013

Sciopero delle donne a Romano di Lombardia


Aderisco … Perché lo sciopero è la forma di lotta nonviolenta inventata dalle donne e uomini delle classi subalterne per vincere la pretesa dei padroni di sfruttare totalmente il loro tempo, energia, intelligenza.
• Perché le donne hanno agito lo sciopero anche contro le dittature.
• Perché sciopero significa incrociare le braccia e rendere visibile il diritto all’autodeterminazione del proprio corpo libero.
• Perché sciopero significa esercitare il diritto sul proprio tempo, per le donne sempre occupato e a disposizione.
• Perché lo sciopero ferma la produzione e ci consente di ripensarne e ricontrattarne la qualità, la quantità, il senso.
• Perché lo sciopero nei lavori della riproduzione sociale: scuola, sanità, pubblica amministrazione, lavoro domestico, lavoro di assistenza, lavoro educativo, casalingato, lavoro di cura, consente di fermarsi e ritrovare il senso delle relazioni umane.
• Perché il ritmo industriale fordista che hanno preso le nostre vite in corsa tra lavori precari, traffico cittadino, figli e figlie, anziani e anziane, malati e malate, da accompagnare, accudire, sostenere è diventato insostenibile.
• Perché abbiamo bisogno di riprenderci il governo del tempo, rallentare, per abitare con agio gli spazi e i pensieri.
• Perché lo sciopero fu l’ultimo pensiero rivoluzionario di Rosa Luxemburg, geniale economista antimilitarista uccisa da chi voleva impedirle di agire il suo pensiero.
• Perché sedute accanto nel tempo liberato possiamo pensare insieme.
• Perché vogliamo fermare e cambiare la cultura violenta nelle relazioni umane, tra donne e uomini nelle diverse età e condizioni della vita.
• Perché il diritto alla vita delle donne è un imperativo che precede qualsiasi altro.
• Perché sono una femminista dagli anni ’70 e questo sciopero è stato convocato dalle donne cresciute nei diritti che anch’io ho conquistato e che oggi vengono fortemente minacciati.
• Perché questo sciopero è stato convocato da donne che hanno scelto di continuare la lotta per quella cittadinanza piena nella quale diventiamo tutte sorelle.
• Perché di questo sciopero le donne sono titolari e gli uomini non sono esclusi.
del Coordinamento nazionale Udi, di Marea, del Gruppo Sconfinate-Romano di Lombardia

sabato 9 novembre 2013

Sono Valeria Bottelli e mi candido alla Presidenza dell'Ordine degli Architetti di Milano

Oggi e lunedì (h. 12-19) ancora si vota per il rinnovo del Consiglio dell'Ordine degli Architetti, in via Solferino. La candidata donna alla presidenza è Valeria Bottelli, che si presenta con la lista Dodicimila Talenti: territorio, autorevolezza, preparazione le parole d’ordine del suo programma. 
Dice Bottelli: Mettere in campo l’autorevolezza dell’Ordine significa attivarsi per renderlo artefice di nuove forme di crescita e valorizzazione della professione verso il migliore sviluppo del territorio su cui opera. Quando pensiamo ad un ordine autorevole sappiamo che ciò dipenderà dalla efficacia della sua gestione ma solo se sostanziato dalla preparazione dei suoi iscritti, dalle diversità professionali che sa coltivare, dalle forme di condivisione e trasparenza dei suoi atti. Per questo penso all’Ordine ed al suo Consiglio come una lobby aperta (nella migliore delle accezioni din questo termine) intesa a generare una solidale ma efficace competizione per la qualificazione dei 12.000 architetti iscritti.  
La nostra è una chiamata a qualificare, diversificare e promuovere i propri 12.000 talenti, costruendo rinnovate alleanze tra coloro che riconoscono il territorio come luogo di fitte relazioni tra numerose parti in gioco: committenza, progettisti, costruttori, sviluppatori, amministratori, formatori; perché per sviluppare positivamente le competenze di ciascuna di queste parti è necessario un sano e programmatico dibattito che tenga conto della convenienza comune.
Tutti gli architetti iscritti all’Ordine devono concorrere secondo le proprie responsabilità alla costruzione di un progetto comune per un territorio inclusivo, in cui paesaggio, architettura, design e comunicazione si esprimano secondo un progetto culturale di ampio respiro. Cultura è lo strumento; ecco perché è così importante la formazione: una formazione diffusa ma di eccellenza. Abbiamo bisogno di una committenza illuminata, costruttori evoluti capaci di stimolare l’evoluzione del processo; sviluppatori capaci di offrire esperienze all’avanguardia; amministratori con visioni; formatori appassionati. E’ alle relazioni virtuose tra fra tutte queste parti che bisogna lavorare, perché solo queste potranno cucire una rete viva di cui tutti potranno beneficiare.

Da noi auguri e un suggerimento: più ambiente, ambiente, ambiente. Tutela e sostenibilità, e non solo tutela: valorizzazione, arricchimento, condivisione.

Presentazione della lista e del programma (del 12 ottobre 2013):




Intervista su Arcipelagomilano (4 novembre 2013):

venerdì 8 novembre 2013

Su sessismo, violenza e fascismo (anche) nella sinistra. Che fare?

Sabato 9 novembre all'ARCI Bellezza (in via Giovanni Bellezza 16A), dalle h. 14 un appuntamento interessante, e importante per le ragioni esposte sotto dalle promotrici [in seguito  allo "scherzo della bandiera"]. 
L'incontro si aprirà dando spazio alle testimonianze su alcuni casi in cui le donne dei movimenti antagonisti si sono ritrovate vittime di sessismo, o addirittura di violenze, proprio negli ambiti del movimento. Si tenterà di dare delle definizioni (e citazioni di testi) riguardo ai concetti di riferimento, facendo un brain storming aperto e una raccolta di suggestioni collettive, che includano il tema (non banale) della lotta contro se stessi ... 
Ma soprattutto sarà al centro l'idea di un "vademecum deontologico del rivoluzionario: con un dibattito collettivo finalizzato alla stesura del breviario tascabile che fissi dal punto di vista etico l'espressione della libertà comportamentale dell'antagonista".
La riflessione proposta ci sembra un'importante occasione per tutti, per questo auguriamo alle promotrici il massimo successo. Ecco il loro invito:

Siamo Giulia, Marica e Silvia. Il 28 settembre 2013 siamo state oggetto di un'aggressione sessista, fisica e verbale, nonché del grave danneggiamento della vettura di una di noi, da parte di alcuni degli occupanti dell'Acqua Potabile di Milano, per tre giorni sede di Temporary Zam 3.1.
Abbiamo deciso di esporci pubblicamente per trasformare questo vergognoso episodio in un'occasione di riflessione condivisa, all'interno dei movimenti antagonisti, sui problemi di sessismo e fascismo nell'autonomia.
Il risultato di un mese di lavoro in questo senso, condotto secondo regole di trasparenza, determinazione e spirito di servizio, ha riscosso infine un'innumerevole sequela di prese di distanza: non per i temi proposti, che tutti hanno reputato importanti, ma per presunte modalità o piattaforme fumose nella giornata da noi organizzata.
E' stato chiaro fin dall'inizio, in tutte le nostre comunicazioni, che si tratterà invece di un momento di assemblea libera e aperta ai contributi di tutti quelli che hanno delle riflessioni e dei racconti da condividere in merito.
Le relatrici che hanno aderito all'iniziativa, come ad esempio Monica Lanfranco, Laura Cima e Lidia Menapace - che per prima lanciò, moltissimi anni fa, il tema del patriarcato di sinistra, nel quasi deserto di reazioni - ci hanno dato la misura, con i loro racconti, di quanto le donne abbiano vissuto storicamente in maniera pervasiva il sessismo negli ambienti a sinistra, e di come il nostro personale episodio si iscriva in una lunga e lugubre serie di eventi analoghi.
Tutti i liberi pensatori che, Sabato 9 novembre dalle ore 14:00, decideranno di essere con noi presso il Circolo Arci Bellezza, potranno ragionare insieme di questo, contribuire alla ricostruzione storica di tali orizzonti culturali e delle loro nefaste conseguenze per il movimento, e con la loro presenza daranno un contributo fondamentale al nostro sentito tentativo di squarciare l'italiana coltre di ipocrisia e silenzio che tutto copre e separa.

In preparazione dell'incontro, ecco alcuni spunti che, da parte nostra, speriamo siano utili ad avviare una riflessione critica
Sessimo, simbolo, provocazione, fascismo, denuncia
La “Bagatella per il massacro” (come scriviamo nel nostro comunicato) o l' “atto provocatorio” che ha innescato l'aggressione fisica nei nostri confronti da parte di alcuni occupanti di Temporary ZAM 3.1, tra cui Rete Studenti Milano, è stato “lo scherzo della bandiera”: cioè l'aver staccato dalla porta dell'ex “Acqua Potabile” a Milano, la bandiera del militante antifascista Davide Cesare detto Dax, ucciso da un agguato fascista nel marzo 2003.
Per noi questa aggressione è del tutto inaspettata: tra i nostri riferimenti simbolici di tipo politico e culturale, giocare con l'oggetto bandiera non risuona come un'onta, una profanazione di una sacra reliquia, come la croce cristiana in una Chiesa cattolica o il vessillo nazionale su una caserma dell'esercito militare. Alla luce dei fatti, ci interroghiamo intorno alla valenza del simbolo nella cultura antagonista. Naomi Klein e NoLogo, il multiplo serigrafato del volto di Ernesto “Che” Guevara, l'impostazione wahroliana del pensiero pop, Jean-Luc Godard - solo per citarne alcuni – ci hanno nei decenni scorsi suggerito di distinguere immagine e oggetto, identità e pensiero, ad esempio prendendo le distanze dall'ambiguità di riferimenti nel reale di una fotografia, indicando piuttosto a interiorizzare i residui teorici di un feticcio, una rappresentazione o una delega.
Quello che abbiamo vissuto ci è sembrato invece il gonfiarsi di una volontà di potere e di violenza che nella bandiera ha trovato solo una motivazione funzionale allo sfogo. Per noi il “gioco con la bandiera” doveva servire al contrario, a disinnescare quella violenza, spostando il conflitto su un piano ironico. Ci pare che a causare l'impulso violento fosse stato piuttosto il nostro contestare concetti come “casa nostra” riferito ad un luogo occupato, connotazioni sessiste del linguaggio comune come “rompere i coglioni”, atteggiamenti fisici come spintarelle, palpeggiamenti e “mani in faccia” che abbiamo nominato fascismo. Forse quello che simbolicamente si è dimostrato più destabilizzante, disarticolante, è stata la non-corrispondenza della disobbediente stregosa, di noi cioè, che non “garantiamo la nostra sottomissione, a suon di battiti di ciglia”, rendendo loro impossibile il dialogo con il soggetto ribelle (donna) che non incarna il corpo riverente sessuo-sensuale che le è stato socialmente assegnato.
A questo proposito adottiamo la lettura di Paolo Virno da parte di Marco Scotini in Alfabeta n.25 (anno III dicembre 2012- gennaio 2013), in cui si definisce molto bene la differenza tra disobbedienza civile e disobbenza sociale. “[..] Se condizione della disobbedienza civile era il riconoscimento di un ente superiore che produce norme e che come tale, non viene posto in discussione, tale ruolo di soggezione alla sovranità o ad una entità trascendente non è più garantito dai modi della disobbenza sociale. [..] Il primo ordine ad essere violato dalla disobbedienza sociale è infatti una norma che precede tutte le altre ed è presupposta da tutte le altre. Questa norma non scritta e che nessuno mette in dubbio, afferma l'obbligo di obbedienza come tale. Essa recita: “E' necessario obbedire alle norme”, come presupposto dell'autorità in quanto diritto di comandare e di essere obbediti. La disobbedienza sociale non viola la legge ma modifica le condizioni in cui continua a proporsi il vincolo statale come tale”.
Come Virno indica in pura potenza creativa questa nuova pratica della disobbedienza sociale all'interno dei movimenti antagonisti, così a nostro parere, la stessa pratica da parte del soggetto ribelle donna contro il sistema patriarcale dominante e i suoi simboli (come la bandiera), riveste la medesima potenza creativa. Ragion per cui ci chiediamo: cosa è davvero successo a livello simbolico?
L'incapacità all'ascolto delle istanze argomentative che ponevamo, ci ha catturato in un avversario con il quale non esiste confronto possibile, in un nemico di tutti da non guardare in faccia, in uno spauracchio che doveva “bruciare vivo”. Premesso che ci poniamo al di fuori dell'equivoco “sessidiota” che vede nell'aggressione fisica ad una donna il raggiungimento della parità tra i sessi, siamo certe che essere paritari non significhi essere uguali ma di sesso opposto , come “essere contro” non può significare essere uguali e contrari. Al maschio che si chiede se menarci o no in quanto donne, noi rispondiamo con una dialettica metafisica (in senso etimologico) che non ha genere.
Il sessismo dunque non si è espresso nell'aggressione fisica contro tre donne, ma al contrario nelle frasi che l'hanno preceduta: “non ti picchio perchè sono uomo d'onore” significa vorrei ammazzarti perchè parli; “aveva ragione mio padre, le donne come voi devono stare sotto” significa perchè non mi fai un pompino invece di rompere i coglioni, ché!, non ti piace il cazzo?
Ulrike Meinhof diceva “La protesta è quando dico che una cosa non mi sta bene. Resistenza è quando faccio in modo che quello che adesso non mi piace non succeda più”. La resistenza antisessista è una condanna meticolosa che insiste sull'inclinazione ad assumere acriticamente il linguaggio comune - parlato dai padri e dalle madri, dal sapere, dalla televisione, finanche dalla cultura antagonista stessa - come eredità, come dono, come documento d'identità.
Questo linguaggio così facilmente e incosapevolmente spendibile come una moneta franca nei più diversi ambienti e circostanze, contiene in sé un dispositivo discriminante ben oliato dalla già improduttiva - seppur non ancora entrata di fatto nell'uso comune come patrimonio collettivo - rivendicazione femminista della “a”. “Il primo atto rivoluzionario è chiamare le cose con il loro nome”: la frase di Rosa Luxemburg rivela altresì che l'atto più conservativo e antirivoluzionario si nasconde nelle pieghe del linguaggio.
C'è allora equivalenza tra il difendere il feticcio della bandiera di Cesare Davide “Dax” e una parlata sessista. Un io che vuole autodef inirsi altro dalle proprie manifestazioni (sessiste e/o fasciste), e innalza questa autorappresentazione “buona” a garante di un significato sano di quelle parole e di quei simboli, mente.
La resistenza antisessista si esplica in una pratica politica che é da che mondo è mondo quotidiana! Qui definiamo l'idea di un “politico praticato di genere”. Tale per cui un uomo gioca allo “spettacolo del politico”, costringendo il gesto antagonista nel reality della rivoluzione, stretto in un appuntamento collettivo extra-ordinario; e tale per cui una donna agisce in un “politico diffuso”, in cui decide di correre un pericolo politico, che vale la pena di correre ogni volta che il campanello d'allarme di una limitazione alla sua libertà palesi una contraddizione tra un senso del mondo assodato come culturalmente liberato e il mondo così com'è.
Sia chiaro una volta per tutte, la limitazione di libertà che ripudiamo è quella che nella narrazione hominide viene nominata provocazione. Provocazione che, a seconda delle necessità maschili, traduce seduzione remissiva o viceversa l'avamposto invalicabile di una zona autonoma del corpo, del pensiero e dell'azione femminili. Tuttavia in quanto donne, non siamo esenti da una serie di errori.
Conosciamo il fascismo come una predisposizione all’intolleranza che si può manifestare in ognuno di noi e che richiede costante autodisciplina per essere disinnescata: un nemico interno a se stessi inidentificabile quanto il terrorista nella folla, risulta per finezza di potere mimetico, estremamente più minaccioso di un testarasata che ti si para davanti. Il presentarsi di un fatto (il nostro, noi, noi come fatto) senza mediazione di rappresentazione alcuna (ossia le deleghe a linguaggio, immaginario e senso comuni) ha disorientato anche le donne del Collettivo Ambrosia, presenti quella sera; le quali, pur “lavorando i grandi temi del femminismo” dentro e fuori dagli spazi sociali, non li hanno saputi individuare in cioche stava succedendo. Senza movimento autocensorio, è stato facile, quasi inevitabile, trovarsi nel vicolo cieco del gruppo clandestino che, come Ida Farè descriveva già nel 1979, “si pone per definizione contro e fuori del sistema, ma non ha la possibilità di pensarsi e di definirsi, nel senso che il suo "contro" non può che trasformarsi in uguale anche se contrario. Non riesce più a trovare la possibilità di costruirsi e di differenziarsi dal quel sistema violento che vuole combattere e finisce per essere travolto e per indossare il vestito che lo stato gli dà” (cit. Ida Farè / Franca Spirito Mara e le altre - Le donne e la lotta armata:  Economica Feltrinelli, 1979)
Noi ci sentiamo parte di quella tradizione rivoluzionaria e antagonista che nella storia ha sempre tracciato netta la linea tra la legalità e l’illegalità, riconoscendo come necessario a ogni conquista civile il passaggio attraverso quella zona fuori dalla legge che sola permette alla legge di cambiare per il meglio (Primo Moroni), riconoscendo il valore della ribellione anche violenta, dell’esproprio, del sabotaggio. Ma, come dice Ulrike Meinhof, se si bruciano centinaia di macchine, è un’azione politica, se si brucia una macchina, è reato. La violenza immotivata da adeguate istanze politiche e diretta contro il singolo non può essere difesa come se fosse l’azione violenta contro un’istituzione oppressiva o un potere costituito, se non a costo di giustificare la prima e sporcare la seconda. Per questo, come è giusto denunciare un poliziotto che abusa del proprio potere sulla carne di un attivista politico, come è giusto denunciare un membro della propria famiglia, un padre, un marito, un fratello, che infligge una violenza domestica, allo stesso modo non può che essere giusto denunciare questi fatti.
Risuona di antichi vizi italiani quel ritorno all'ordine omertoso a cui la vittima di violenza è sempre richiamata: dunque chiediamo chi o cosa metta in pericolo un centro sociale? Ciò che è successo è stato un atto ingiustificabile come risposta, reazione. Voler traslare ad ogni costo il pericolo su chi ha liberato questi comportamenti, per liberare dalle sue responsabilità chi li ha agiti, porta inevitabilmente al paradosso. Il pericolo si moltiplica con la sua negazione.
Chiediamo prima di tutto al Collettivo ZAM e a Rete Studenti Milano di essere con noi con le loro riflessioni critiche sul fatto in questione.
Per contatti e contributi scrivete a: Loscherzodellabandiera@autistici.org

mercoledì 30 ottobre 2013

Solo per signore. Trasporto pubblico e questioni di genere

Che il trasporto pubblico sia la soluzione strategica per combattere gli enormi danni ambientali ed economici prodotti dall'espansione della mobilità individuale motorizzata è un'affermazione pressoché scontata.  Tuttavia la realizzazione di reti efficenti di trasporto collettivo è questione che si scontra con gli interessi contrapposti su cui spesso si basano le politiche dei governi.
La priorità degli investimenti va ancora alla costruzione di autostrade perchè questo tipo di infrastruttura è la spina dorsale del modello di  sviluppo territoriale novecentesco, tutt'altro che superato in Italia, che fa parte dei cosiddetti paesi sviluppati, come in India il cui impetuoso sviluppo economico è rappresentato, per quanto riguarda gli effetti territoriali, dalla costruzione di 39 nuove autostrade sui cui progetti e relativi finanziamenti il governo sta discutendo in questi giorni.

Uno degli effetti più noti di questo modello di sviluppo territoriale è l'enorme dipendenza dal petrolio che, nel caso del secondo paese più popoloso al mondo, si traduce in 145 miliardi di dollari all'anno per l'importazione di greggio. Il Ministro del Petrolio M. Veerappa Moily, conti alla mano, ha proposto ai suoi concittadini di utilizzare il trasporto pubblico almeno una volta alla settimana per risparmiare 23 miliardi di dollari, una cifra considerevole visto il deficit nella bilancia dei pagamenti del paese asiatico. Egli stesso, dal 9 ottobre scorso, viaggia ogni mercoledì sulla metropolitana per recarsi al suo ministero.

L'iniziativa del ministro Moily a sostegno del trasporto pubblico ha tuttavia poco in comune con l'esperienza quotidiana dei 2,3 milioni di passeggeri della metropolitana di Delhi, spesso costretti per raggiungerla ad avvalersi di altri mezzi di trasporto su gomma, dai taxi ai rickshaw che intasano le strade della capitale, cosi' come gli affollatissimi e lenti autobus.
Le difficoltà degli spostamenti in Delhi si aggravano per le donne, la cui scarsa presenza come utenti della metropolitana e' testimoniata dalle esigue file che si fomano agli ingressi dotati di metal detector. Per evitare che esse siano oggetto di molestie sessuali,  un vagone di ogni treno viene esclusivamente destinato a loro. Dopo il caso eclatante della studentessa morta a seguito di una violenza di gruppo avvenuta su di un bus di Delhi, l'istituzione dei vagoni solo per donne é senz'altro apprezzabile, pur sembrando una forma di segregazione. Tuttavia continuano a sussistere gli elementi d'insicurezza per le donne che si spostano nella città, soprattutto nelle ore serali, quando diventa sconsigliabile camminare su strade male illuminate, spesso prive di marciapiede  e sopratutto progettate per il traffico veicolare.

Rispetto alla situazione problematica della mobilità urbana, la metropolitana di Delhi, con le sue 6 linee che si estendono per 190 chilometri,  ha cominciato ad essere operativa solo nel 2002. Altri 108 chilometri saranno aggiunti alla rete attuale con l'intento di sgravare l'enorme traffico veicolare generato da uno sviluppo urbano che ha portato lo stato dove risiede la capitale indiana ad incrementare, tra il 1991 ed il 2011, la propria area urbana del 62,5% e la popolazione del 77,8%, secondo lo Statistical Abstract 2012.
 
Il caso della metropolitana di Delhi e dei suoi vagoni destinati alle donne dimostra come su di un buon trasporto pubblico si appoggi anche la possibilita' di aumentare la percentuale di donne occupate, in India drammaticamente ferma al 10,58% (un quinto di quella maschile). Condizioni piu' sicure ed efficenti per muoversi tra l'abitazione ed il lavoro possono supportare l'occupazione femminile, oltre ad essere una valida alternativa per coloro che utilizzano l'auto privata e generare un considerevole risparmio energetico. In questo senso l'esempio del Ministro indiano del Petrolio potrebbe essere molto piu' che simbolico.

In Italia non c'è nessun ministro che va a lavorare con i mezzi pubblici e l'importazione di petrolio ci costa 55 miliardi di dollari all'anno. Nessuno sembra avanzare proposte organiche affinchè un trasporto pubblico efficiente possa migliorare  le condizioni difficili della mobilità urbana e ridurre la dipendenza energetica del paese. Men che meno ci si interroga su quanto una mobilità sostenibile, anche da un punto di vista di genere, possa aumentare le opportunità per le donne di partecipare alla vita econimica, in una situazione in cui, relativamente a questo indicatore, il nostro paese è al 97 posto del Global Gender Gap Index 2013 del World Economic Forum.

Michela Barzi Millennio Urbano
 

L' Europa nel XXI secolo

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Europa nel XXI secolo, un set su Flickr.

venerdì 25 ottobre 2013

Alla Casa delle Donne: gran fermento di incontri

Presso la nuova Casa Delle Donne di Milano si sono formati diversi gruppi di lavoro che stanno organizzando un fitto programma di incontri. Volete partecipare? 

Per informazioni si può scrivere alle referenti di ogni gruppo (che vi indichiamo accanto a ogni data elencata sotto). 
Ma attenzione! Vi ricordiamo che per partecipare è necessario essere socie. (per iscrivervi scrivete a socie@casadonnemilano.it)

I prossimi incontri
• Venerdi 25 ottobre, h. 18 - 20/20,30: gruppo "interculture"
in via Marino 7, 3° piano saletta "Ester Angiolini"  (referente: Francesca

• Mercoledì 30 ottobre, h. 18: gruppo "ufficio stampa" (referente: Barbara)

• Martedì 5 novembre, h.19.00: gruppo "comunicazione"
  Saletta 'Angiolini', via Marino 7, 3° (referente: Sabina)

• Giovedì 7 novembre: gruppo "fundraising"
  Saletta 'Angiolini', via Marino 7, 3° piano (referente: Cami)

• Martedì 12 novembre, h. 18: gruppo "Città bene comune"
  Saletta 'Angiolini', via Marino 7, 3° piano
  (sede ancora da confermare! referente: effe-elle)

• Gruppi "sportello degli sportelli e rete delle reti" ed 'eventi'
Questi due gruppi si sono già riuniti; le interessate al prossimo incontro possono scrivere alle rispettive referenti: per sportello degli sportelli: Nicoletta  - Per gli eventi: Paris.

• L’incontro del gruppo "Progettazione" è ancora in preparazione (per info, scrivere alla referente progettazione). 

mercoledì 23 ottobre 2013

Caro Sindaco, cara Giunta di Milano

Quanto vogliamo bene a Pisapia? Tanto. 
Non se la prenda dunque se, con tutte le gatte da pelare che ha, ci si mettono anche le donne, e noi con loro, a chiedere un po' di attenzione: solo un po' di attenzione in più, si intende, a quella che non ha mai mancato di esprimere. 
Leggi questa lettera caro Sindaco, e soprattutto rispondile: ci contiamo.
La richiesta, che viene fatta ringraziando la Giunta per la sensibilità sempre dichiarata nei confronti delle istanze e dei diritti delle donne, e alla luce di un impegno che conferisce alla nostra città anche un ruolo di esempio verso le altre amministrazioni, è di stralciare il punto 2 dalla delibera di Giunta n° 1288 del 28 giugno 2013 (per il resto ottima):  

"Ci rivolgiamo al Sindaco Giuliano Pisapia, alla Giunta, a Francesca Zajczyk (Delegata del Sindaco alle Pari Opportunità) e Anita Sonego (Presidente della omonima Commissione). Durante i lavori del convegno “Quando comunicazione fa rima con discriminazione” , tenuto lo scorso 17 settembre a Palazzo Marino, abbiamo appreso che nella delibera “Indirizzi fondamentali in materia di pubblicità discriminatoria e lesiva della dignità della donna” tra i punti destinati a individuare i messaggi discriminatori da contrastare, compare, al n° 2, quanto segue: Immagini volgari, indecenti, ripugnanti devianti da quello che la comunità percepisce come “normale”, tali da ledere la sensibilità del pubblico: punto che Vi chiediamo formalmente di stralciare.
Infatti, intorno al senso e al significato di questo punto, in evidente contraddizione con gli altri quattro, si é sviluppata una discussione pubblica che ha coinvolto gruppi di donne, associazioni, collettivi femministi, singole e singoli. Parte del dibattito é stato pubblicato su Ambrosia, Politica Femminile, Arcipelago Milano e infine su Un altro genere di comunicazione.
Ci preoccupa dover stabilire cosa è normale e cosa non lo è. E le ragioni per cui una parola tanto discriminatoria viene utilizzata all’interno di un documento che vorrebbe rappresentare un esempio di lotta alle discriminazioni. 
Gli intenti di lotta alla pubblicità sessista di questa delibera sono importanti, ma altrettanto lo sono le parole, il linguaggio, la comunicazione. Com’è possibile che in un testo volto a mettere in discussione il sessismo dei cliché comunicativi pubblicitari sia comparsa una così grave incoerenza?
In Italia, come ci hanno dimostrato recentemente i casi 'Barilla' e 'Boldrini', la normalità è ancora rappresentata da un modello familiare eteronormativo, dove alla donna è riservato il compito di gestire la casa e servire la famiglia. Non vorremmo arrivare a pensare che il punto n° 2 risulti un escamotage per non intaccare i modelli culturali e le credenze di una supposta comunità di riferimento e la sua “sensibilità”. Sono queste le ragioni che motivano la nostra richiesta di stralcio del punto n. 2 della delibera.
Ringraziando la Giunta per la sensibilità sempre dichiarata nei confronti delle istanze e dei diritti delle donne, e proprio alla luce di un impegno che conferisce alla nostra città anche un ruolo di esempio verso le altre amministrazioni, confidiamo che la nostra richiesta verrà accolta".
Le prime firmatarie sono:
Lara Adorni, Annapaola Ammirati, Carla Antonini, Fabrizia Boiardi, Mariangela Bonas, Marina Borgatti, Antonella Coccia, Chiara Collini, Carla Comacchio, Carlotta Cossutta, Evelina Crespi, Nadia Dowlat, Maria Grazia Ghezzi, Lucia Leonardi, Mariagrazia Longoni, Marta Lovison, Arianna Mainardi, Fabiana Manigrasso, Donatella Martini, Alice Monguzzi, Adriana Nannicini, Antonella Pastore, Alessia Ricci, Chiara Rossini, Martina Tisato.

Se ne sono aggiunte molte altre, anche di altre città (e non solo firme di donne); l'elenco completo si trova qui.
Si uniscono inoltre alla richiesta diversi gruppi di donne e associazioni:

Perché.. è vero, i problemi di cui occuparsi sono tanti; ma anche questa non è una questione di lana caprina:

martedì 22 ottobre 2013

Nel sottopassaggio meglio non passare di sera. La vita delle donne nella morsa della mobilità urbana

Nel sottopassaggio meglio non passare di sera, magari ti rapinano. 
In più devi fare 80 gradini tra scendere e salire, che tra pancione e bimbo da prendere in braccio è una bella fatica. Poi quando esci dal metrò, se vedi l'autobus arrivare dall'altro lato della strada, devi attraversare al volo, senno ti tocca aspettare nel buio. E allora rischi, perchè sono le sette e mezza di sera e devi tornare a casa a preparare la cena. Forse ci sono pensieri come questi all'origine della tragedia che si è consumata la sera di domenica 20 ottobre 2013 sull’asfalto di un grande viale di Milano. Per ora si possono fare solo ipotesi sul comportamento della sfortunata giovane madre, ma è esperienza comune l’insicurezza che ispirano le strade e le infrastrutture che ogni giorno gli abitanti delle città utilizzano per spostarsi. Sono soprattutto le donne le vittime di questa insicurezza e del senso d’impotenza che essa ispira. Meglio  tentare un attraversamento rischioso, utilizzando un varco dello spartitraffico, piuttosto che avventurarsi in un sottopassaggio, forse considerato ancora più pericoloso del viale concepito per lo scorrimento veloce delle auto. 
La pianificazione orientata alle necessità delle auto più che a quelle delle persone ha segmentato i percorsi urbani in settori della cui importanza è testimonianza la quantità di danaro pubblico investita per la loro realizzazione. Non è un caso che il sottopassaggio che conduce alla stazione della metropolitana, meta o provenienza della donna investita, abbia dall’altro lato del viale un posteggio per auto.
La mobilità ha una relazione fortissima con il valore sociale che hanno le funzioni di cura, ancora largamente sulle spalle dell'universo femminile.  Fare la spesa, portare i figli a scuola, andare a lavoro, occuparsi delle necessità degli anziani, sono attività che generano spostamenti, molto difficili nella città intasate dal traffico automobilistico e  ancor di più se si è una donna che deve necessariamente portare con se bambini piccoli e usare i mezzi pubblici. 


La questione  dell'impatto della moblità sulla qualità della vita delle donne per ora non trova posto nemmeno tra gli indicatori che dovrebbero misurare quanta strada c’è ancora da fare per raggiungere l’obiettivo di città in grado di non nuocere ai propri abitanti ed, in generale, al pianeta. Al di là delle buone intenzioni enunciate per rimediare ai guasti delle città contemporanee, va  infatti registrato che fino ad ora i tentativi di mettere in discussione i principi dell’urbanistica modernista novecentesca non sono riusciti a far coincidere il concetto largamente utilizzato (ed abusato fino al limite della sua trasformazione in slogan) di sostenibilità con soluzioni in grado di sovvertire il modello dominante di pianificazione urbana, e questo  vale in particolare per gli effetti che esso ha avuto sulla vita delle donne.


Finchè le politiche per la mobilità urbana, oggi largamente avulse dalle scelte di governo del territorio, non metteranno al centro le necessità del suo attore principale, perché è ormai dimostrato che sono molto di più le donne a spostarsi rispetto agli uomini, finchè non saranno riconosciute le specifiche necessità legate al genere e non si metterà al centro il ruolo che esso esercita nella società, muoversi nelle nostre città a misura d'auto sarà, per le donne e non solo, una sfida da affrontare all'insegna della quotidiana insicurezza.
  Michela Barzi  Millennio Urbano